L'Angolo di Beppe - "Primavera a Quintosole"


Questa volta, e forse non sarà l'ultima, prendo un pò di  spazio in quest'angolo di Beppe, la rubrica che ogni settimana sarà curata dal nostro Pino Benincasa.
Mi macchio di questa "occupazione abusiva", perchè, dopo aver letto l'articolo di Pino, sono andato a Quintosole con altri amici del circolo, tra i quali l'anima di questa storia - Sandro Borsotti - per... "vedere l'effetto che fa".
Il borgo è abitato da circa 400 persone ed è bellissimo. Potrebbe esserlo molto di più.

In pieno parco sud, sembra di essere tornati indietro nel tempo, come in quel capolavoro che fu "Non ci resta che piangere" di Benigni e Troisi.
Parte di questa bellezza è dovuta alla cooperativa Pedrazzini che anima questo borgo pieno di cascine, di risaie e con una chiesa che è un gioiello.
E poi le case, sulle quali si vedono ancora le scritte di quell'epoca "VIVA BINDA" ad esempio, oppure "GANINI SANTO", che non è un'invocazione al Vaticano ma il nome di un partigiano ucciso dalla violenza fascista propio su quel muro.
Ma la bellezza svanisce quando pensi che in questo borgo non c'è neppure la fognatura.
Nel 2010 le acque reflue delle case si riversano in quel rivolo d'acqua che si chiama Rile, che ha la sventura di passare da lì. Un tempo, forse, serviva le risaie, che ancora si vedono.

La bellezza svanisce quando ti accorgi che non c'è neppure un parcheggio e le auto sono buttate qua e là e il manto stradale è del tutto inadeguato.

La bellezza di questo borgo, purtroppo,  la puoi solo intuire, perché quelle cascine stanno cadendo a pezzi, così come le case, diroccate e disabitate da troppi anni. 
La lenta decomposizione di queste strutture, però, è avvenuta mentre si costruiva, a pochi metri,  il carcere di Opera con il suo murone alto e grigio che interrompe la vista dei campi che portano fino all'abbazia di Mirasole.  
E qui si è costruito anche lo IEO, recentemente raddopiato nelle dimensioni. Ora sarà edificata anche la sede del Centro di ricerca biomedica. Non lontano c'è il depuratore.
Qui il Comune di Milano vuole costuire anche l'inceneritore.
Non è forse troppo?

Ho voluto appropriarmi di  questo angolo - e spero che Pino non me ne vorrà -  perché credo che da qui, da questo racconto, noi del circolo Vigentino del Partito democratico dobbiamo iniziare a fare politica.
Dobbiamo, cioè, occuparci di ridare dignità e rispetto alle persone che vivono in quel borgo,  dotarli degli strumenti elementari che sino ad ora il Comune di Milano ha loro negato.
E dobbiamo occuparci di recuperare un luogo che ci racconta le nostre origini e che potrebbe farlo meglio se gli consentissimo di tornare con noi nel futuro, come non accadde a Beningi e Troisi, condannati a rimanere per sempre a Frittole, nel 1400...quasi 1500.  
Dobbiamo dire no all'inceneritore ma, contemporanemante, vogliamo dire anche si a un borgo diverso, valorizzato come merita.
Perché oltre alla protesta noi vogliamo fare anche la proposta.
 
Cosimo Palazzo, coordinatore del circolo Vigentino 

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PRIMAVERA A QUINTOSOLE


Vedi, in questa cascina io ci sono nato, proprio in quella là, vedi – Sandro mi indica un angolo di un meraviglioso complesso agricolo, ora semidiroccato, con un porticato in mattoni rossi da far invidia a un chiostro domenicano o all’Alhambra di Granada.
Quella che fu una fiorente cascina fino agli anni '60 si estende su un lembo del territorio dell'agglomerato di Quintosole, nel Parco Agricolo Sud di Milano, fra un fosso, ora asciutto e un filare di olmi in cospetto di un gigantesco silos grigio. Sullo sfondo le case di Rozzano da un lato e, più vicine, le mura della Casa Circondariale di Opera.

Questo fosso incrocia più avanti quella roggia che vedi laggiù. Un tempo, da bambino, ci venivo a pescare le rane. – Come, pescare? – gli faccio – Ma le rane, abboccano all’amo? –
Sandro sorride dietro gli occhiali nella sua faccia onesta e pulita.
Io seguivo il trattore nella marcita; mio padre mi indicava il punto in cui sotto il pelo dell'acqua si vedevano le rane. Avevo una canna e al filo c’era appeso un pezzo d’esca o un girino. La rana lo ingoiava e io l’afferravo mettendola in un secchio assieme alle altre. Alla sera, tornato a casa, davo il secchio a mia madre e lei puliva le rane e le spellava e poi si mangiavano cucinate con il risotto. Non c’era altro, si viveva anche con quello! –

Ora la marcita è asciutta e l’unica acqua che c’è scorre in un “fugnun” ed è torbida e puzzolente.
Riceve gli scarichi delle case e dei condomini venuti su come i funghi a partire dagli anni sessanta e che ancora non hanno le fogne e i servizi essenziali. La giornata assolata di primavera, preziosa a Milano, invita a camminare in allegria sul tratturo. La voce di Sandro racconta dell’infanzia, del padre che curava le mucche nelle stalle, del suo girovagare da un casolare all’altro, spesso sfrattato, della Casa del Popolo il cui rudere sconnesso conserva ancora qualche lettera sbiadita della scritta sul frontone ormai sbriciolato. Memoria semicancellata del tempo che fu. Alfredo ed io guardiamo in silenzio e immaginiamo la vita fra le marcite e le cascine, fra le rogge e i fontanili della campagna a Sud di Milano che è ancora bella se la lasciano stare. In fondo, verso Opera, la tangenziale con le automobiline che si vedono correre in lontananza come giocattoli su una pista di plastilina. 
Andiamo a vedere la chiesetta – dice Sandro e porta me e Alfredo in un cortiletto su cui si  apre la chiesetta dell’Assunta. La parte anteriore e il frontone sono stati rifatti da poco a intonaco grigio, ma l’abside è bellissima sopra l’altare e mostra il suo tesoretto di un affresco che arriva sino alla volta ad archi incrociati. Su un lato, in fondo alla chiesetta, c’è un organo elettrico di nuova generazione. Alfredo, che è musicista, mette allo scoperto la tastiera e l’accarezza cogli occhi; poi cerca avidamente il tasto di accensione nel pannello posto sulla parete vicina, ma non lo trova. Non può suonare. Peccato! Gli avrei chiesto di eseguire la “Toccata e Fuga in Re Minore” di Bach che io adoro e che in quel luogo e con quel sole mi avrebbe commosso fino alle lacrime. Peccato davvero!

Usciamo per le viuzze assolate. Le cascine diroccate sui due lati della strada dovevano essere stupende un tempo. Queste terre sono dell’Ospedale Maggiore – mi dice Sandro – Mi viene in mente che anche la zona agricola adiacente, fino alla “grangia” di Mirasole, appartiene all’Ospedale Maggiore fin dal 1787, quando Napoleone Bonaparte la donò alla Fondazione come ricompensa per le cure prestate dall’Ospedale ai suoi soldati feriti.

Mirasole e Quintosole costituiscono un unico dono nel Parco Agricolo Sud di Milano. Ma ecco laggiù la torre dei telefoni a Rozzano e, più a sinistra, l’azzurra costruzione del depuratore di S. Rocco al Basmetto, vicino a Ronchetto delle Rane. La bella chiesa del borgo è stata rifatta e ristrutturata a cura di una Fondazione, ma nei giorni di scirocco si respira all’intorno l’aria mefitica del depuratore. E ci vogliono costruire pure l’Inceneritore, a Opera, a cento metri dal Santuario della Madonna dell’Aiuto. Povero Parco Sud ! Ma i sindaci di Opera, Rozzano, Pieve Emanuele e Locate Triulzi si oppongono strenuamente. Andate a costruirlo a Sesto S. Giovanni, se proprio non se ne può fare a meno! Qui abbiamo già dato, fra tangenziale, ospedale, carcere e depuratore. Ci manca solo l’Inceneritore!

Andiamo a vedere la cooperativa – dice Sandro. Il capanno è ampio, col tetto nuovo di zecca e il soffitto appoggiato sulle travi a vista E’ la nostra cooperativa Pedrazzini. Qui abbiamo fatto tante feste dell’Unità in passato! – E infatti il locale è ingombro di vasellame, bicchieri, pentole di ogni dimensione, marmitte e cucine da campo. - Qui facciamo la festa del Primo Maggio. Sarà la nostra festa, quella del Lavoro! –

Una signora si affaccia a una finestra e saluta Sandro. Qui lo conoscono tutti, lui qui è di casa. Sandro indica me e Alfredo. Ciao, Lina. Sono due amici che vogliono scrivere un pezzo sul nostro Quintosole – La donna coglie subito l’occasione. Scrivete, per favore, che qui non c’è una privativa e se vogliamo fare la spesa per mangiare ci tocca andare a piedi fino a Noverasco che sono due chilometri da fare sulla Ripamonti dove non c’è un marciapiede e quando piove si rischia di brutto con un traffico mostruoso. - Va bene, signora, lo scriveremo, abbia fiducia –

Più avanti un tipo con una palandrana lisa e un cappello a falde spioventi si muove in mezzo alla strada con in mano un gran foglio simile a una mappa e una biro. Sembra misurare l’asfalto nuovo a larghi passi. Sandro si ferma incuriosito. Lui è il padrone qui e vuole controllare tutto. Che cosa sta misurando, per favore? –
L’uomo alza la testa e sembra contento di scambiare due parole. Sono qui per conto del Comune di Milano e sto misurando gli spazi per la costruzione della fogna. Mi hanno incaricato di fare questo lavoro. Vedo che di qua conoscete tutto – Finalmente, era ora! – dice Sandro.
Questo non è proprio il mio lavoro – dice l’altro con forte accento calabrese. Io sono musicista; suono la chitarra e il mandolino e ho fatto anche il concorso alla Scala,ma nessuno mi ha protetto, tanto meno i sindacati; io sono calabrese, di Soverato –
Alfredo sembra volerselo mangiare cogli occhi. Lui è musicista per davvero e la Scala la conosce bene.
Io ero in commissione per i concorsi, ma non mi pare di averla mai vista. E’ sicuro di essersi presentato? E in quale anno? – E’ stato nel ’90. Ma nessuno mi ha protetto; solo la Lega lo fa con gli iscritti e chi vota per lei. Ma adesso che vinciamo e facciamo il federalismo fiscale, tutti staremo bene finalmente.-
Lo guardo per capire se fa sul serio o se scherza. Fa sul serio.  Scusi, mi spiega che cosa è esattamente il federalismo fiscale? – gli faccio – Tutti se ne riempiono la bocca, ma mi pare che nessuno finora sappia esattamente che cosa sia – E’ facile – risponde con sicumera, guardandomi come se fossi un povero idiota. – Tutte le regioni si tengono stretti i soldi della raccolta fiscale, tranne una piccola quota che va in un fondo comune e serve per tutti. –
Scusi obiettai – ma per raccogliere delle imposte bisogna tassare dei prodotti o delle persone, le buste paga o le pensioni. Ma che cosa produce la Calabria da tassare? Quali sono le aziende? Non è vero che la gente scappa al Nord o all’estero, dipendenti, professionisti e commercianti? Persino la ‘ndrangheta ormai è al Nord. Lei, perché è venuto qui a cercare lavoro? - Mi guarda e comincia a perdere la sua sicumera esibendo un sorriso.

Quale fondo comune, poi? – incalza Alfredo – Quali sono i soldi che può mettere a disposizione la Calabria che non ha gli occhi per piangere? E chi li amministra? Il governo della Lega? E’ come mettere un lupo a guardia dell’ovile con gli agnelli. Lei dovrebbe farsi difendere da quelli che una volta erano di AN al suo paese, non dalla Lega. – Lei sa cosa sono i fondi FAS? – continuo . Mi fa cenno di no con la testa. – Sono dei fondi statali istituiti dal governo Prodi per lo sviluppo delle aree sottosviluppate. Sa che cosa ci fa Tremonti con questi fondi che sono del Sud e dei meridionali? Li usa come un Bancomat per le spese correnti, come il TFR dei lavoratori, e ci paga pure le quote-latte per gli allevatori del Nord che infatti adesso non si lamentano più per lo sforamento delle quote e per le conseguenti multe della Comunità Europea –

Adesso non parla più, ma sorride sempre. Il leghista di Soverato non sa più cosa dire. Alfredo gli da l’ultima stoccata. Legga più libri e si informi di come vanno le cose e suoni meno il mandolino –


Passano degli amici di Sandro.
Alura, Sandrin, cuma te vet? –
Mi, ben, e vialter? – .
Uno è un mio compagno di scuola –
mi dice Sandro con un sospiro
 – Quanto tempo è passato ! –

Giuseppe Benincasa